L’intelligenza artificiale generativa in Italia sta rapidamente passando dallo status di tecnologia emergente a quello di asset strategico. Le piccole e grandi imprese iniziano a riconoscerne il potenziale, ma l’adozione resta ancora frammentata. Nonostante il clamore mediatico e il crescente interesse da parte del top management, sono ancora poche le realtà che stanno implementando soluzioni di Generative AI con una visione chiara, sostenibile e allineata agli obiettivi di business. In questo articolo esploreremo le potenzialità di questa tecnologia nel mercato attuale italiano.
Secondo la ricerca “AI 4 Italy” condotta da TEHA Group e Microsoft, solo il 22% delle grandi aziende italiane e appena il 6% delle PMI ha avviato progetti strutturati di intelligenza artificiale generativa. Eppure, le stime parlano chiaro: una sua diffusione capillare potrebbe generare fino a 312 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana nei prossimi 15 anni, con un incremento potenziale del PIL del 18,2%. Le PMI, in particolare, rappresentano un bacino di opportunità enorme, stimato in 122 miliardi di euro. Ma per cogliere questo valore, servono scelte strategiche: visione, investimenti, competenze e una governance dei dati all’altezza.
Adottare l’intelligenza generativa in Italia non è una questione tecnica
Molte aziende si avvicinano alla intelligenza artificiale con l’aspettativa di una soluzione “plug-and-play”. In realtà, i progetti più efficaci sono quelli che partono da una domanda concreta e da un’analisi realistica della maturità digitale dell’organizzazione. L’IA non rappresenta una soluzione miracolosa, ma uno strumento avanzato che può apportare valore solo se inserito in un contesto aziendale ben strutturato. Per ottenere benefici concreti è fondamentale partire da processi ben definiti, dati organizzati e obiettivi chiari e misurabili.
Spesso, le difficoltà non derivano dalla tecnologia in sé, quanto piuttosto dall’introduzione frettolosa in realtà che non sono pronte ad accoglierla. In questo scenario, il successo di un progetto AI dipende solo in minima parte dagli strumenti adottati, mentre il fattore decisivo riguarda il contributo delle persone e l’efficienza dei processi aziendali. Senza un’adeguata cultura digitale, formazione e partecipazione attiva dei dipendenti, si rischia di favorire un uso incontrollato di soluzioni esterne, con possibili implicazioni negative per la sicurezza, la tutela dei dati e la conservazione del know-how interno. Inoltre, per sfruttare appieno le potenzialità dell’intelligenza artificiale generativa in Italia, le aziende devono orientarsi verso soluzioni su misura, sviluppate in base alle esigenze specifiche del proprio settore e alimentate dai propri dati. L’adozione di modelli generici, infatti, può condurre a risultati poco pertinenti o poco utili per le reali necessità operative e strategiche.
Dal calcolo del ROI alla costruzione di una strategia
Un altro ostacolo all’adozione dell’ intelligenza artificiale generativa in Italia è la difficoltà nel misurarne il ritorno economico. Molti CFO segnalano l’imprevedibilità dei costi, soprattutto nei modelli basati su consumo (token-based), che variano in base al tipo di uso e alla complessità delle richieste. Ma questo approccio rischia di bloccare l’innovazione prima ancora che parta. È più utile ragionare in termini di valore generato, e non solo di ritorno immediato.
Un modello vincente è quello che privilegia l’adozione progressiva: iniziare con quick wins misurabili, capaci di migliorare operazioni specifiche o snellire processi ripetitivi. Questi piccoli successi costruiscono fiducia interna e permettono di accumulare competenze.
Parallelamente, è fondamentale lavorare su una governance dei dati: qualità, sicurezza, storicizzazione, tracciabilità. Senza questi prerequisiti, anche il miglior algoritmo perde efficacia.
Infine, serve una regia chiara. Secondo le analisi TEHA, in Italia l’adozione è spesso guidata top-down, su spinta di CEO o CDA, ma può anche nascere bottom-up, da figure operative che sperimentano in autonomia. Entrambi i percorsi sono validi, ma in entrambi i casi è il middle management (spesso non ancora pronto) a dover integrare le soluzioni nel tessuto aziendale. Ecco perché, come già detto, la formazione trasversale, per ruoli diversi e con approcci diversi, è oggi uno degli investimenti più urgenti.
L’importanza di governare il potenziale dell’intelligenza artificiale generativa in Italia
Il panorama dell’intelligenza artificiale in Italia è in rapida evoluzione. Le aziende stanno sperimentando, alcune raccolgono già risultati significativi, ma il contesto resta frammentato. L’Italia è ancora distante dai livelli di investimento, ricerca e competenze raggiunti dagli Stati Uniti e da alcuni Paesi asiatici. Colmare questo gap richiede uno sforzo coordinato tra pubblico e privato: politiche industriali, incentivi mirati, ecosistemi territoriali e soprattutto un grande piano nazionale sulle competenze.
Per le imprese italiane, il messaggio è chiaro: non si può più rimandare. L’IA generativa non è solo un’opportunità competitiva, ma una leva di trasformazione dei modelli organizzativi, decisionali e operativi. Adottarla in modo strategico significa ripensare il ruolo del dato, responsabilizzare le persone e creare le condizioni per un’innovazione reale e duratura. Non basta testare strumenti. È necessario costruire un metodo.
Dall’adozione individuale all’ecosistema: il ruolo delle partnership e dell’open innovation
Un elemento che sta emergendo con forza è la consapevolezza che l’intelligenza artificiale generativa in Italia non può essere sviluppata e adottata in isolamento. Le imprese più lungimiranti stanno abbracciando logiche di open innovation e partnership strategiche, collaborando con start-up, centri di ricerca, università e fornitori tecnologici specializzati. Questa apertura consente di accelerare i tempi di sperimentazione e ridurre i rischi legati all’implementazione, soprattutto per le PMI che non dispongono di risorse interne dedicate.
Non è un caso che stiano nascendo in Italia nuovi poli di innovazione sull’AI generativa, spesso sostenuti da fondi pubblici e privati, come i competence center o i digital innovation hub previsti nel quadro del PNRR. Questi ecosistemi favoriscono la condivisione delle best practice, lo sviluppo di soluzioni verticali settoriali (es. manifattura avanzata, moda, agroalimentare) e l’adozione di standard comuni su temi critici come l’etica, la trasparenza e la sicurezza.
Le partnership internazionali rappresentano un altro driver fondamentale. Diverse grandi aziende italiane stanno stringendo accordi con big tech e realtà globali per co-sviluppare modelli generativi in grado di rispondere alle esigenze locali, garantendo nel contempo la compliance alle normative europee. Questa strategia permette di evitare la dipendenza da soluzioni proprietarie difficilmente adattabili e di cogliere le opportunità offerte dalle reti europee per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Possiamo affermare che, l’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa in Italia passa sempre più attraverso la costruzione di un tessuto collaborativo che unisce pubblico, privato e mondo della ricerca. Per le aziende italiane, partecipare a questi ecosistemi non è un’opzione, ma una condizione necessaria per accedere alle competenze, alle tecnologie e alle risorse indispensabili per innovare in modo sostenibile e competitivo.
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